Vida y Espiritualidad de Félix de Jesús Rougier


Il Rischio della Fede
Storia della fondazione dei
missionari dello Spirito Santo

Ricardo Zimbrón L., M.Sp.S.

 

 
 
   
  
   
  
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CAPITOLO V

ANALISI DEI FATTI
 

Ora che il tempo è passato, e che la vita di Padre Félix appartiene alla storia, possiamo analizzare in maniera imparziale questi fatti.

Prima di tutto possiamo chiederci: fece Padre Félix ciò che era più conveniente?

È una domanda valida, perché nel Diritto Ecclesiastico è previsto il caso di religiosi che, avendo preso i propri voti in una qualsiasi congregazione, scoprono più tardi che la loro vocazione è un’altra e sinceramente credono essere volontà di Dio che essi seguano il nuovo cammino. In questa situazione, il religioso ha il pieno diritto di chiedere la dispensa dai voti, e facendolo non commette alcuna mancanza, anzi, cerca di compiere fedelmente la volontà attraverso il cammino che egli considera più autentico.

Effettivamente, il Superiore Generale di Padre Félix nella sua lettera del 1° Luglio gli dice:

"Se dopo aver fatto nove giorni di esercizi spirituali nel convento dei Trappisti, lei crede che sia volontà del Signore chiedere la dispensa dai suoi voti religiosi, io non porrò alcun ostacolo, anzi, per quanto è in mio potere, La aiuterò".

D’altra parte sappiamo che Padre Félix mostra in ogni occasione di "non avere il minimo dubbio circa la sua nuova vocazione", e di "essere assolutamente certo che questa chiamata viene da Dio". Inoltre, per non avvalersi soltanto delle proprie vedute, Padre Félix consulta diversi vescovi e altri sacerdoti "molto competenti"; e tutti gli danno la loro entusiastica approvazione.

Stando così le cose, a mio giudizio Padre Félix commise un errore a far dipendere la progettata fondazione dalla decisione dei suoi superiori che vivevano in Francia, e che, a causa della distanza, non disponevano né delle informazioni, né dei necessari criteri per una corretta valutazione del caso. Mancavano, per esempio, di una conoscenza diretta e sufficiente della Signora Cabrera, del suo carisma, della sua spiritualità, dei suoi scritti, delle due Opere della Croce già approvate, delle capacità e doti dei Vescovi e dei teologi che appoggiavano la fondazione, e del processo graduale che si era operato in Padre Félix negli ultimi quindici mesi.

Era naturale che Padre Martin, e più ancora i suoi consiglieri, rifiutassero il permesso al buon Padre Félix che voleva fondare una Congregazione sulla base di alcune supposte rivelazioni di una certa Signora messicana…

Ma è lo stesso Superiore Generale a mettere in evidenza il vero nodo insolubile della situazione, in una lettera diretta al Mons Leopoldo Ruiz, Vescovo di Leon:

"Per fondare una Congregazione, Padre Félix dovrebbe lasciare la Società di Maria, e per questo dovrebbe chiedere a Roma la dispensa dai suoi voti religiosi. Orbene, è lo stesso Padre Félix che ha deciso di non chiedere questa dispensa a meno che io non sia completamente d’accordo e gli dia il mio pieno consenso. Ma io non posso dare il consenso contro il parere dei miei Assistenti" (1° Dicembre 1904).

In tal modo il problema era divenuto insolubile per la posizione assunta dallo stesso Padre Félix.

Secondo il mio personale punto di vista, penso che Padre Félix avrebbe dovuto chiedere la dispensa dai voti, attenendosi alla propria convinzione e a quella dei vescovi e teologi del Messico. Siccome in quel tempo i vescovi avevano il potere di fondare nuove congregazioni senza l’autorizzazione di Roma, Padre Félix avrebbe potuto realizzare la fondazione in quello stesso anno, sotto gli auspici dell’Arcivescovo di Città del Messico. Questa Congregazione sarebbe stata per un certo tempo di diritto diocesano e più tardi, come di norma, sarebbe divenuta di diritto pontificio.

L’iter per la dispensa dai voti di Padre Félix si sarebbe svolto senza difficoltà, con l’appoggio dello stesso Superiore Generale, e in questo modo il nostro fondatore avrebbe risparmiato dieci anni di tempo e dieci tonnellate della sua salute che ebbe a soffrire un logoramento continuo a causa dello strazio psicologico che sempre deriva dalla tensione di forze opposte e potenti, quando queste si impossessano del nostro essere.

Padre Félix però vedeva le cose in altro modo. Era sicuro che il Signore voleva che fosse lui a fondare la quinta Opera della Croce, ma voleva essere certo che fosse davvero giunta l’ora indicata da Dio. E confidava che Dio avrebbe dato ai suoi superiori la luce necessaria a discernere la Sua volontà. Per questo decise di obbedire ad ogni costo.

La sua obbedienza fu eroica. Fu durissimo per lui rinunciare a quell’ideale in cui aveva posto tutto l’entusiasmo che gli veniva dal suo temperamento deciso e impetuoso. Però vi seppe rinunciare. Per tutto il tempo che i Superiori avessero stabilito, o anche per sempre…

Niente santifica l’uomo come la rinuncia alla propria volontà, in ossequio alla volontà di Dio. Niente lo purifica come questa rinuncia, perché in questo caso il suo cuore resta vuoto di tutto, perfino di se stesso, e quindi totalmente disponibile a Dio. Per questo motivo sono certo che, dopo questi dieci anni, Padre Félix era un vero santo. Cosicché, quello che alcuni di noi considerano un errore, fu in realtà per Padre Félix il cammino per la sua santificazione. Il fatto è che a volte il Signore conduce i suoi eletti per sentieri a noi incomprensibili. Ce lo dice lo stesso Isaia: «Le mie vie non sono le vostre vie» (Is 55,8).

E che cosa faceva Padre Félix a Barcellona? Se consideriamo la sua esperienza e le sue qualità umane diremmo che stava perdendo il suo tempo. Ma se guardiamo le cose con gli occhi della fede, dobbiamo dire che si stava santificando.

Il primo incarico che gli affidò Padre Gauven fu quello di chiedere fondi per il sostentamento della cappella francese che i padri Maristi avevano a Barcellona. Scrive Padre Félix nel suo Diario:

"Ieri ho fatto cinque visite per chiedere elemosine. È una cosa che mi costa molto; ma lo faccio con gioia perché così vuole il Signore".

Inoltre lo incaricarono di dare lezioni ad un piccolo gruppo di bambini dai cinque ai dodici anni:

"Sto dando lezioni ai miei piccoli alunni, insegnando loro a sillabare. Il più piccolo ha cinque anni. Inizialmente questo mi costava molto; ora non più. Fintanto che faccio la volontà di Dio, che importanza ha fare una cosa o un’altra?”.

Per ordine del suo superiore, visitò molti conventi di religiose, per offrire i suoi servizi come confessore, ma non ebbe grande accoglienza:

"Tutte mi vedono come un povero operaio senza lavoro. A volte arrossisco di vergogna prima di entrare nelle loro case, però la santa obbedienza mi sostiene, e all’offrire tutto a Gesù provo perfino gioia, insieme alla vergogna".

Successivamente gli affidarono l’associazione delle istitutrici e delle domestiche, e Padre Félix se ne occupò "con molta gioia".

Nei primi mesi del suo "esilio", come egli chiamava questo periodo, scriveva spesso al Superiore Generale, pregandolo con filiale insistenza di riconsiderare il suo caso, e fornendogli sempre nuovi motivi per farlo. In risposta ricevette questa lettera:

"È da poco tempo che Lei ha scritto, ed è eccessivo, oltre che inutile, che Lei insista ogni mese, poiché la mia decisione non cambierà né con le suppliche né con il passare dei giorni o dei mesi. Se ne rimanga tranquillo, aspettando che giunga l’ora stabilita da Dio, se questa deve arrivare. Comunque, se Lei sente il bisogno di scrivermi di tanto in tanto per chiedermi la stessa cosa, forse non Le risponderò, non avendo niente di nuovo da dirLe. Non per questo tuttavia deve dubitare del mio affetto nei suoi riguardi e del mio ardente desiderio che Lei progredisca nella santità e faccia tutto il bene che Dio vuole da Lei".

Il 25 Marzo 1905 morì Padre Martin, e gli succedette come Padre Generale della Società di Maria Padre Raffin. Padre Félix gli scrisse un "memorandum", chiedendogli che, come nuovo Superiore Generale, si degnasse di rivedere il suo caso. La sua lunga lettera si conclude così:

"Però se Lei crede che non sia ancora giunta l’ora, io resterò tranquillo e rassegnato nel mio Nazaret e aspetterò obbedendo che arrivi l’ora stabilita da Dio.

Non posso dire che farò tutto questo senza sentire in fondo al cuore una crudelissima desolazione; però il mio desiderio di obbedire lealmente e fino in fondo, mi farà accettare con gioia speciale questa pesantissima croce”.

La risposta del nuovo Superiore fu la stessa di sempre:

"Il parere unanime del Consiglio è che non Le si debba permettere di fare questa fondazione. Però se per portare a compimento la missione che Lei crede essergli stata affidata dal Signore desidera chiedere la dispensa dai voti, noi non ci opporremo alla concessione".

Padre Félix risponde a questa lettera ringraziando Padre Raffin ed il Consiglio per aver riesaminato il suo caso. Accetta di continuare ad aspettare finché Dio lo vuole, e conclude con questo paragrafo:

"Umanamente tutto sembra finito, poiché io contavo molto sul suo appoggio; però pur nel sacrificio che faccio in omaggio all’obbedienza, sento tanta fiducia nelle promesse di Dio fino al punto di sembrarmi che domani stesso potrò dare inizio alla Sua Opera".

Io penso che da questo momento Padre Raffin cominciò a stimare ed ammirare Padre Félix, non soltanto per la sua obbedienza, ma anche per la saldezza del suo ideale.

Trascorsero così altri tre anni. Nel Febbraio del 1908 la salute di Padre Félix cedette. Scrive nel suo Diario:

"Sono giunto ad uno stato di debilitazione mai raggiunto prima, ed ho una bronchite cronica".

Il medico temette per la sua vita, gli ordinò riposo assoluto. Ritenne che il clima di Barcellona poteva essere fatale per l’infermo, e consigliò di mandarlo in Francia. I superiori lo mandarono a curarsi alle terme di Bourbule. Padre Félix scrive:

"Chiedo a Dio di darmi pazienza e che mi conceda la grazia di non lamentarmi mai. Ho offerto a Dio la mia malattia come espiazione dei miei numerosi peccati".

Accadde che in quegli stessi giorni, anche Padre Raffin dovette andare a curarsi nello stesso stabilimento termale e, senza che Padre Félix lo chiedesse, volle che gli spiegasse ampiamente tutto ciò che atteneva al suo nuovo ideale. Padre Félix ci riferisce nel suo Diario circa il risultato di questi colloqui:

"Sentii di poter aprirgli il mio animo con grande facilità e gli esposi le ragioni che potevano convincerlo in favore della mia richiesta. Il Padre Generale si mostrò molto contento della mia assoluta obbedienza durante questi ultimi anni, e nel corso della nostra ultima passeggiata in montagna, mi disse queste parole: -All’inizio, non solo non credevo alla Sua nuova vocazione, ma ho pensato che si trattasse di progetti inconsistenti, tanto da prendermene gioco in presenza dei padri. Ma ora, per tutto quello che mi ha raccontato, credo proprio che nostro Signore La stia chiamando a realizzare questa fondazione e Le daremo il permesso che Lei desidera, se questa sarà l’indicazione della Santa Sede-".

Padre Félix tornò a Barcellona con rinnovata speranza e la sua salute migliorò notevolmente.

L’anno seguente Padre Raffin visitò la comunità di Barcellona e parlò di nuovo con Padre Félix. Questi gli disse di essere tormentato da un grande dubbio, ed era questo: "Essendo io così sicuro di essere chiamato da Dio a realizzare questa fondazione, debbo continuare ad aspettare passivamente, senza prendere alcuna iniziativa?". Il Padre Generale gli diede questa risposta scritta:

“Lasci tutto nelle mani di Dio. Lasci che sia Lui a decidere l’ora. Lei continui ad obbedire come ha fatto finora, perché questo è il mezzo più sicuro e più rapido per poterLe dare il permesso di dare inizio alla sua amata fondazione".

Inoltre gli diede il permesso di scrivere alla Signora Armida "una o due volte l’anno, ma senza parlarle della fondazione".

Tuttavia Padre Raffin aveva più volte detto a Padre Félix che, se avesse chiesto la dispensa dai voti, egli non si sarebbe opposto. Per questa ragione, nel corso del 1908 Padre Félix si consultò con diverse persone circa l’opportunità o meno di chiedere la dispensa. Queste persone erano: Il Cardinale Casanas, di Barcellona, Mons. Ibarra, Arcivescovo di Puebla, i Padri Alejandro Cepeda e Salustiano Carrera. Tutti si mostrarono riluttanti a consigliare un cambio radicale nella vita di Padre Félix, e giudicarono che fosse più opportuno continuare ad attendere, confidando nella sicurezza che viene dall’obbedienza.

Padre Félix commenta:

"Fiducia! Lo ha detto Gesù, e la sua parola si compirà a dispetto di tutti gli ostacoli. In attesa che venga quel giorno felice, mi impegnerò ad essere più fedele in tutto, a darmi al Signore senza nulla chiedere, a lasciare che Egli faccia di me ciò che vuole, ad impregnarmi sempre più dello spirito delle Opere della Croce, e a prepararmi, con la grazia di Dio, ad essere il primo Religioso della Croce" (Diario).

Nel mese di Agosto di quell’anno (1909) Padre Félix si trovò nuovamente in condizioni di salute disastrose. Il medico ribadì che il clima di Barcellona gli era molto pregiudizievole e perciò lo mandarono nel collegio che i Padri Maristi avevano a Saint Chamond. Era questa una cittadina di circa 13.000 abitanti che vivevano delle miniere di carbone e dell’industria siderurgica. Il collegio dei Maristi era il migliore della regione: disponeva di 35 professori e aveva più di 500 allievi, quasi tutti interni.

Padre Félix scriveva nel suo Diario:

"Mi hanno dato pochissimo lavoro, a causa delle mie cattive condizioni di salute.

A volte arriva fino alla mia stanza il sibilo delle locomotive e sogno che sia il treno che mi porterà in Messico…".

Per altri cinque anni Padre Félix rimase a Saint Chamond, obbedendo e aspettando il suo sognato treno…

Una volta guarito prese ad insegnare per dodici ore la settimana, preparava le lezioni, correggeva i compiti e si occupava della condotta dei ragazzi. Tutto questo non gli piaceva, ma era ugualmente contento:

"Le mie attuali occupazioni sono l’esatto contrario delle mie aspirazioni naturali, però sono felice perché vedo chiaramente che Gesù mi vuole qui. E che altro posso desiderare oltre la sua volontà? Ogni giorno ringrazio il Signore per avermi portato in questo luogo, in questo silenzio, in questa solitudine dove non conosco altro che i miei fratelli ed i miei alunni. Sento di essere chiamato a questa vita. Lontano dal mondo, avendo tempo per le mie preghiere e per compiere i miei doveri quotidiani".

Tuttavia, nonostante quell’apparente tranquillità, all’inizio dell’anno scolastico 1910, scrive nel suo diario:

"Mi sono reso conto di essere diventato molto nervoso e troppo intransigente. Mi sforzo di essere paziente ma mi costa moltissimo. Il fatto è che qui ci sono una o due persone più nervose di me… però senza malizia.

Gesù, voglio essere paziente".
 

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