ANALISI DEI FATTI
Ora
che il tempo è passato, e che la vita di Padre Félix appartiene alla storia,
possiamo analizzare in maniera imparziale questi fatti.
Prima di tutto possiamo chiederci: fece Padre Félix ciò che era più
conveniente?
È
una domanda valida, perché nel Diritto Ecclesiastico è previsto il caso di
religiosi che, avendo preso i propri voti in una qualsiasi congregazione,
scoprono più tardi che la loro vocazione è un’altra e sinceramente credono
essere volontà di Dio che essi seguano il nuovo cammino. In questa
situazione, il religioso ha il pieno diritto di chiedere la dispensa dai
voti, e facendolo non commette alcuna mancanza, anzi, cerca di compiere
fedelmente la volontà attraverso il cammino che egli considera più
autentico.
Effettivamente, il Superiore Generale di Padre Félix nella sua lettera del
1° Luglio gli dice:
"Se
dopo aver fatto nove giorni di esercizi spirituali nel convento dei
Trappisti, lei crede che sia volontà del Signore chiedere la dispensa dai
suoi voti religiosi, io non porrò alcun ostacolo, anzi, per quanto è in mio
potere, La aiuterò".
D’altra parte sappiamo che Padre Félix mostra in ogni occasione di "non
avere il minimo dubbio circa la sua nuova vocazione", e di "essere
assolutamente certo che questa chiamata viene da Dio". Inoltre, per non
avvalersi soltanto delle proprie vedute, Padre Félix consulta diversi
vescovi e altri sacerdoti "molto competenti"; e tutti gli danno la loro
entusiastica approvazione.
Stando così le cose, a mio giudizio Padre Félix commise un errore a far
dipendere la progettata fondazione dalla decisione dei suoi superiori che
vivevano in Francia, e che, a causa della distanza, non disponevano né delle
informazioni, né dei necessari criteri per una corretta valutazione del
caso. Mancavano, per esempio, di una conoscenza diretta e sufficiente della
Signora Cabrera, del suo carisma, della sua spiritualità, dei suoi scritti,
delle due Opere della Croce già approvate, delle capacità e doti dei
Vescovi e dei teologi che appoggiavano la fondazione, e del processo
graduale che si era operato in Padre Félix negli ultimi quindici mesi.
Era
naturale che Padre Martin, e più ancora i suoi consiglieri, rifiutassero il
permesso al buon Padre Félix che voleva fondare una Congregazione sulla base
di alcune supposte rivelazioni di una certa Signora messicana…
Ma
è lo stesso Superiore Generale a mettere in evidenza il vero nodo insolubile
della situazione, in una lettera diretta al Mons Leopoldo Ruiz, Vescovo di
Leon:
"Per fondare una Congregazione, Padre Félix dovrebbe lasciare la Società di
Maria, e per questo dovrebbe chiedere a Roma la dispensa dai suoi voti
religiosi. Orbene, è lo stesso Padre Félix che ha deciso di non chiedere
questa dispensa a meno che io non sia completamente d’accordo e gli dia il
mio pieno consenso. Ma io non posso dare il consenso contro il parere dei
miei Assistenti" (1° Dicembre 1904).
In
tal modo il problema era divenuto insolubile per la posizione assunta dallo
stesso Padre Félix.
Secondo il mio personale punto di vista, penso che Padre Félix avrebbe
dovuto chiedere la dispensa dai voti, attenendosi alla propria convinzione e
a quella dei vescovi e teologi del Messico. Siccome in quel tempo i vescovi
avevano il potere di fondare nuove congregazioni senza l’autorizzazione di
Roma, Padre Félix avrebbe potuto realizzare la fondazione in quello stesso
anno, sotto gli auspici dell’Arcivescovo di Città del Messico. Questa
Congregazione sarebbe stata per un certo tempo di diritto diocesano e
più tardi, come di norma, sarebbe divenuta di diritto pontificio.
L’iter per la dispensa dai voti di Padre Félix si sarebbe svolto senza
difficoltà, con l’appoggio dello stesso Superiore Generale, e in questo modo
il nostro fondatore avrebbe risparmiato dieci anni di tempo e dieci
tonnellate della sua salute che ebbe a soffrire un logoramento continuo a
causa dello strazio psicologico che sempre deriva dalla tensione di forze
opposte e potenti, quando queste si impossessano del nostro essere.
Padre Félix però vedeva le cose in altro modo. Era sicuro che il Signore
voleva che fosse lui a fondare la quinta Opera della Croce, ma voleva
essere certo che fosse davvero giunta l’ora indicata da Dio. E confidava che
Dio avrebbe dato ai suoi superiori la luce necessaria a discernere la Sua
volontà. Per questo decise di obbedire ad ogni costo.
La
sua obbedienza fu eroica. Fu durissimo per lui rinunciare a quell’ideale in
cui aveva posto tutto l’entusiasmo che gli veniva dal suo temperamento
deciso e impetuoso. Però vi seppe rinunciare. Per tutto il tempo che i
Superiori avessero stabilito, o anche per sempre…
Niente santifica l’uomo come la rinuncia alla propria volontà, in ossequio
alla volontà di Dio. Niente lo purifica come questa rinuncia, perché in
questo caso il suo cuore resta vuoto di tutto, perfino di se stesso, e
quindi totalmente disponibile a Dio. Per questo motivo sono certo che, dopo
questi dieci anni, Padre Félix era un vero santo. Cosicché, quello che
alcuni di noi considerano un errore, fu in realtà per Padre Félix il cammino
per la sua santificazione. Il fatto è che a volte il Signore conduce i suoi
eletti per sentieri a noi incomprensibili. Ce lo dice lo stesso Isaia: «Le
mie vie non sono le vostre vie» (Is 55,8).
E
che cosa faceva Padre Félix a Barcellona? Se consideriamo la sua esperienza
e le sue qualità umane diremmo che stava perdendo il suo tempo. Ma se
guardiamo le cose con gli occhi della fede,
dobbiamo dire che si stava santificando.
Il
primo incarico che gli affidò Padre Gauven fu quello di chiedere fondi per
il sostentamento della cappella francese che i padri Maristi avevano a
Barcellona. Scrive Padre Félix nel suo Diario:
"Ieri ho fatto cinque visite per chiedere elemosine. È una cosa che mi costa
molto; ma lo faccio con gioia perché così vuole il Signore".
Inoltre lo incaricarono di dare lezioni ad un piccolo gruppo di bambini dai
cinque ai dodici anni:
"Sto dando lezioni ai miei piccoli alunni, insegnando loro a sillabare. Il
più piccolo ha cinque anni. Inizialmente questo mi costava molto; ora non
più. Fintanto che faccio la volontà di Dio, che importanza ha fare una cosa
o un’altra?”.
Per
ordine del suo superiore, visitò molti conventi di religiose, per offrire i
suoi servizi come confessore, ma non ebbe grande accoglienza:
"Tutte mi vedono come un povero operaio senza lavoro. A volte arrossisco di
vergogna prima di entrare nelle loro case, però la santa obbedienza mi
sostiene, e all’offrire tutto a Gesù provo perfino gioia, insieme alla
vergogna".
Successivamente gli affidarono l’associazione delle istitutrici e delle
domestiche, e Padre Félix se ne occupò "con molta gioia".
Nei
primi mesi del suo "esilio", come egli chiamava questo periodo, scriveva
spesso al Superiore Generale, pregandolo con filiale insistenza di
riconsiderare il suo caso, e fornendogli sempre nuovi motivi per farlo. In
risposta ricevette questa lettera:
"È
da poco tempo che Lei ha scritto, ed è eccessivo, oltre che inutile, che Lei
insista ogni mese, poiché la mia decisione non cambierà né con le suppliche
né con il passare dei giorni o dei mesi. Se ne rimanga tranquillo,
aspettando che giunga l’ora stabilita da Dio, se questa deve arrivare.
Comunque, se Lei sente il bisogno di scrivermi di tanto in tanto per
chiedermi la stessa cosa, forse non Le risponderò, non avendo niente di
nuovo da dirLe. Non per questo tuttavia deve dubitare del mio affetto nei
suoi riguardi e del mio ardente desiderio che Lei progredisca nella santità
e faccia tutto il bene che Dio vuole da Lei".
Il
25 Marzo 1905 morì Padre Martin, e gli succedette come Padre Generale della
Società di Maria Padre Raffin. Padre Félix gli scrisse un "memorandum",
chiedendogli che, come nuovo Superiore Generale, si degnasse di rivedere il
suo caso. La sua lunga lettera si conclude così:
"Però se Lei crede che non sia ancora giunta l’ora, io resterò tranquillo e
rassegnato nel mio Nazaret e aspetterò obbedendo che arrivi l’ora stabilita
da Dio.
Non
posso dire che farò tutto questo senza sentire in fondo al cuore una
crudelissima desolazione; però il mio desiderio di obbedire lealmente e fino
in fondo, mi farà accettare con gioia speciale questa pesantissima croce”.
"Il
parere unanime del Consiglio è che non Le si debba permettere di fare questa
fondazione. Però se per portare a compimento la missione che Lei crede
essergli stata affidata dal Signore desidera chiedere la dispensa dai voti,
noi non ci opporremo alla concessione".
Padre Félix risponde a questa
lettera ringraziando Padre Raffin ed il Consiglio per aver riesaminato il
suo caso. Accetta di continuare ad aspettare finché Dio lo vuole, e conclude
con questo paragrafo:
"Umanamente tutto sembra finito, poiché io contavo molto sul suo appoggio;
però pur nel sacrificio che faccio in omaggio all’obbedienza, sento tanta
fiducia nelle promesse di Dio fino al punto di
sembrarmi che domani stesso potrò dare inizio alla Sua Opera".
Io
penso che da questo momento Padre Raffin cominciò a stimare ed
ammirare Padre Félix, non soltanto per la sua obbedienza, ma anche per la
saldezza del suo ideale.
Trascorsero così altri tre anni. Nel Febbraio del 1908 la salute di Padre
Félix cedette. Scrive nel suo Diario:
"Sono giunto ad uno stato di debilitazione mai raggiunto prima, ed ho una
bronchite cronica".
Il
medico temette per la sua vita, gli ordinò riposo assoluto. Ritenne che il
clima di Barcellona poteva essere fatale per l’infermo, e consigliò di
mandarlo in Francia. I superiori lo mandarono a curarsi alle terme di
Bourbule. Padre Félix scrive:
"Chiedo a Dio di darmi pazienza e che mi conceda la grazia di non lamentarmi
mai. Ho offerto a Dio la mia malattia come espiazione dei miei numerosi
peccati".
Accadde che in quegli stessi giorni, anche Padre Raffin dovette andare a
curarsi nello stesso stabilimento termale e, senza che Padre Félix lo
chiedesse, volle che gli spiegasse ampiamente tutto ciò che atteneva al suo
nuovo ideale. Padre Félix ci riferisce nel suo Diario circa il
risultato di questi colloqui:
"Sentii di poter aprirgli il mio animo con grande facilità e gli esposi le
ragioni che potevano convincerlo in favore della mia richiesta. Il Padre
Generale si mostrò molto contento della mia assoluta obbedienza durante
questi ultimi anni, e nel corso della nostra ultima passeggiata in montagna,
mi disse queste parole: -All’inizio, non solo non credevo alla Sua nuova
vocazione, ma ho pensato che si trattasse di progetti inconsistenti, tanto
da prendermene gioco in presenza dei padri. Ma ora, per tutto quello che mi
ha raccontato, credo proprio che nostro Signore La stia chiamando a
realizzare questa fondazione e Le daremo il permesso che Lei desidera, se
questa sarà l’indicazione della Santa Sede-".
Padre Félix tornò a Barcellona con rinnovata speranza e la sua salute
migliorò notevolmente.
L’anno seguente Padre Raffin visitò la comunità di Barcellona e parlò di
nuovo con Padre Félix. Questi gli disse di essere tormentato da un grande
dubbio, ed era questo: "Essendo io così sicuro di essere chiamato da Dio a
realizzare questa fondazione, debbo continuare ad aspettare passivamente,
senza prendere alcuna iniziativa?". Il Padre Generale gli diede questa
risposta scritta:
“Lasci tutto nelle mani di Dio. Lasci che sia Lui a decidere l’ora. Lei
continui ad obbedire come ha fatto finora, perché questo è il mezzo più
sicuro e più rapido per poterLe dare il permesso di dare inizio alla sua
amata fondazione".
Inoltre gli diede il permesso di scrivere alla Signora Armida "una o due
volte l’anno, ma senza parlarle della fondazione".
Tuttavia Padre Raffin aveva più volte detto a Padre Félix che, se avesse
chiesto la dispensa dai voti, egli non si
sarebbe opposto. Per questa ragione, nel corso del 1908 Padre Félix si
consultò con diverse persone circa l’opportunità o meno di chiedere la
dispensa. Queste persone erano: Il Cardinale Casanas, di Barcellona, Mons.
Ibarra, Arcivescovo di Puebla, i Padri Alejandro Cepeda e Salustiano
Carrera. Tutti si mostrarono riluttanti a consigliare un cambio radicale
nella vita di Padre Félix, e giudicarono che fosse più opportuno continuare
ad attendere, confidando nella sicurezza che viene dall’obbedienza.
Padre Félix commenta:
"Fiducia! Lo ha detto Gesù, e la sua parola si compirà a dispetto di tutti
gli ostacoli. In attesa che venga quel giorno felice, mi impegnerò ad essere
più fedele in tutto, a darmi al Signore senza nulla chiedere, a lasciare che
Egli faccia di me ciò che vuole, ad impregnarmi sempre più dello spirito
delle Opere della Croce, e a prepararmi, con la grazia di Dio, ad
essere il primo Religioso della Croce" (Diario).
Nel
mese di Agosto di quell’anno (1909) Padre Félix si trovò nuovamente in
condizioni di salute disastrose. Il medico ribadì che il clima di Barcellona
gli era molto pregiudizievole e perciò lo mandarono nel collegio che i Padri
Maristi avevano a Saint Chamond. Era questa una cittadina di circa 13.000
abitanti che vivevano delle miniere di carbone e dell’industria siderurgica.
Il collegio dei Maristi era il migliore della regione: disponeva di 35
professori e aveva più di 500 allievi, quasi tutti interni.
Padre Félix scriveva nel suo Diario:
"Mi
hanno dato pochissimo lavoro, a causa delle mie cattive condizioni di
salute.
A
volte arriva fino alla mia stanza il sibilo delle locomotive e sogno che sia
il treno che mi porterà in Messico…".
Per
altri cinque anni Padre Félix rimase a Saint Chamond, obbedendo e aspettando
il suo sognato treno…
Una
volta guarito prese ad insegnare per dodici ore la settimana, preparava le
lezioni, correggeva i compiti e si occupava della condotta dei ragazzi.
Tutto questo non gli piaceva, ma era ugualmente contento:
"Le
mie attuali occupazioni sono l’esatto contrario delle mie aspirazioni
naturali, però sono felice perché vedo chiaramente che Gesù mi vuole qui. E
che altro posso desiderare oltre la sua volontà? Ogni giorno ringrazio il
Signore per avermi portato in questo luogo,
in questo silenzio, in questa solitudine dove non conosco altro che i miei
fratelli ed i miei alunni. Sento di essere chiamato a questa vita. Lontano
dal mondo, avendo tempo per le mie preghiere e per compiere i miei doveri
quotidiani".
Tuttavia, nonostante quell’apparente tranquillità, all’inizio dell’anno
scolastico 1910, scrive nel suo diario:
"Mi
sono reso conto di essere diventato molto nervoso e troppo intransigente. Mi
sforzo di essere paziente ma mi costa moltissimo. Il fatto è che qui ci sono
una o due persone più nervose di me… però senza malizia.
Gesù, voglio essere paziente".